LI AVEVAMO TANTO AMATI 

GENITORI SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI 

 

La testimonianza di uno di noi. 

 

Dipendenze

 

Non dobbiamo vergognarci, parlarne ci fa bene.

Ricordo ancora la prima volta. 

La noia e il senso di vuoto ci opprimevano, ci sentivamo inutili. Ci siamo guardati negli occhi, nessuno dei due aveva il coraggio di parlare per primo, ma sapevamo che ci stavamo pensando entrambi.

Finalmente, quasi con vergogna, uno di noi dice: “Proviamo? Per una volta… ho sentito anche gli altri…” Decidiamo di farlo. “Sai dove trovarla?” dice “Vai tu allora, io ti aspetto qui.”

Esco. Tocca sempre a me il lavoro sporco. Procurarsela non è facile, la vogliono tutti, ma ce la faccio.

Torno a casa trafelata. “L’hai trovata?” mi chiede con una scintilla negli occhi. La tiro fuori e gliela mostro. “Due? Non staremo esagerando?”

La usiamo subito, siamo eccitati.

La prima volta sono state tigelle, e da lì non ci siamo più fermati. 

In un crescendo parossistico pizza, tagliatelle, lasagne, tortelloni… e ancora tigelle.

Ci siamo cascati dentro in pieno. 

Sono state ore di estasi. Certo tutto ha un prezzo, meravigliosi impasti lievitano e, intanto, anche tu. 

Ma c’è di peggio, tutta quella farina che giornalmente inspiri finisce con l’impastarti anche i neuroni e formulare un pensiero coerente diventa sempre più difficile.

E c’è sempre qualcuno che se ne approfitta. Qualcuno che hai in casa.

Mentre appagata galleggi dentro le bianche nuvole, il pupo si avvicina e con la sua più carezzevole vocina ti dice: “Che brava mamma, stai facendo le tigelle? Che buone che sono! Hai comprato anche il prosciutto vero? Lo sai che mi piace tanto il prosciutto. Posso giocare alla Play? Sei la mamma migliore del mondo!” Tutto questo in dieci secondi netti.

Al termine dello sproloquio abilmente congegnato per confonderti, tu, con i tempi di reazione spaventosamente rallentati, sei arrivata ad elaborare appena la prima domanda, quella retorica sulle tigelle e distratta annuisci. Opportunamente il piccolo avvoltoio, intende quel cenno come risposta affermativa alla sua ultima richiesta, l’unica che davvero gli interessa. “Grazie!” dice, ed è già sparito.

Quando arrivi finalmente ad elaborare l’ultimo interrogativo, quello vero, e ti accingi a formulare la risposta degna di te, genitore attento, severo e dolce nello stesso tempo, conscio della sua fondamentale funzione educativa: “È meglio di no, tesoro, hai già giocato anche prima, va a finire che poi ti rimbambisci”, è già trascorsa un’ora, il pupo si sta slogando i pollici in camera sua e capisci che ti sei fatta fregare.

Per fortuna che è lui che si rimbambisce.

 

N.B. 

Anche l’uso passivo è pericoloso. Uscirne per noi non è stato facile, sappiamo di essere ancora vulnerabili perciò, per evitare di ricaderci, adesso la usiamo solo per infarinare le scaloppine.

È importante parlarne. So di certi che ci sono rimasti con la “doppio zero”, li riconosci dallo sguardo beato e un po’ assente e dalle tre taglie in più.

 

#Impastiamoci

#MammaPossoGiocareAllaPlay?


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